Le nostre storie sono ricordi che riprendono forma e vita. Questo non sarà il primo salto temporale de “Il succo della storia” perché la mente ci suggerisce aneddoti conservati nei tanti cassetti della memoria di famiglia. Vere e proprie cassapanche che strabordano di fatterelli divertenti, giunti a noi anche in modo indiretto grazie ai racconti degli adulti.

Siamo naturalmente in Puglia, ma questa volta abbiamo raggiunto gli anni 90. Il piccolo Girolamo, figlio di Pantaleo “u picciue”, nonché mio fratello, ama trascorrere tanto tempo in cucina insieme a nostra nonna che gli permette di impastare e pastrocchiare con acqua e farina, ma senza sprechi perché, ripeteva: «Noi siamo fortunati, pensa a chi non ha nulla da mettere nel piatto».

In effetti Girolamo sapeva di essere fortunato. Lui, cresciuto in campagna insieme a chi lavorava la terra per mestiere e per passione, poteva mangiare tanti ortaggi, frutti freschi e olio extra vergine di oliva genuino. Prodotti che venivano coltivati e raccolti con cura e che si trasformavano in piatti gustosi.

Era una fresca mattina di marzo e il cielo non prometteva nulla di buono. Era di un grigio bianco uniforme, fermo, senza sfumature. Sembrava carico di neve. Sembrava. In realtà della neve neppure l’ombra e io e Girolamo, stanchi di invocarla, non sapevamo come trascorrere il tempo in quella lunga domenica di fine inverno.

Osservavamo dalla finestra gli ulivi a riposo, mentre gli adulti gli si muovevano intorno intenti a portare a termine il lavoro di potatura, il tutto con una organizzazione estrema e con una leggerezza irreale. La squadra, ormai collaudata, sembrava quasi danzare fra i nostri ulivi. Li osservavamo rapiti come quando si osserva una scultura del Canova o di Michelangelo.

Girolamo, curioso e iperattivo, sapeva che la nonna era in cucina già dalle prime luci dell’alba.

- «Nonna, nonna. Cosa fai? Posso aiutarti?».
- «Vieni Girò, dobbiamo preparare le bruschette così rifocilliamo i lavoratori».

Girolamo, che amava sentirsi utile, si recò saltellando dalla nonna fiero di darle una mano.

«La bruschetta era un piatto molto povero che gli agricoltori si portavano a lavoro. Fu inventato per non sprecare il pane ormai raffermo» – spiega la nonna. «Per renderla più appetitosa veniva abbrustolita sul fuoco, da entrambi i lati. Poi veniva condita con olio extra vergine di oliva e aglio. Nulla più».

«Ma tu ci metti anche il pomodoro» - replica Girolamo.

«Non solo. Ora le facciamo con diversi condimenti. Apri la dispensa e prendi i vasetti di pomodori secchi e di carciofi sott’olio. Poi porta qui quel tegame in terracotta, dentro ci sono le cime di rape stufate».

«Che bontà, nonna! Anche io voglio prepararle. Voglio fare una con il paté di olive nere. La chiamerò ‘la brunetta’».

Nei piatti, disposti con cura sul tavolo della cucina, la nonna ha sistemato le bruschette. Sembrano macchie di colore sulla tavolozza di un pittore. Girolamo, soddisfatto delle sue brunette, procede svelto verso l’esterno per portare quelle squisitezze a papà, al nonno e alla squadra dei loro collaboratori.

«Girò, non me ne dai neppure una?» - chiedo un po’ sorpresa, perché in effetti nessuno stava pensando a me e al mio stomaco brontolone (pensare è faticoso, ndr).

«Lu’, ho in mente tante bruschette speciali. La tua la chiamerò O-lì O-là, perché se continui a rimanere lì alla finestra non avrai nulla, se vieni di là in cucina la puoi gustare in tutta la sua bontà».

OlìOlà è poi diventato il nome del suo ristorante… ma questa è un’altra storia.